ROMA - A guardarla superficialmente potrebbe sembrare perfino una piccola casa di vacanze con quella sorta di minuscolo ambiente esterno, i giocattoli sui tavolini, la mansardina, gli scalini con alla base il lavabo esterno per i piatti e un altro manufatto con due stanzette. Però nessuno si sognerebbe di costruire una casa di vacanze davanti ai binari del treno e forse solo per gioco la realizzerebbe in bottiglie di birra, ben meno isolanti e termiche dei laterizi.
Anna e Joseph, slovacchi, abitano alla periferia di Roma, nel quartiere Nomentano, insieme con i due figli, Annamaria e Marco, entrambi nati in Italia.
Assistenti sociali e volontari li conoscono bene, offrono i pasti ai piccoli ogni giorno di scuola. D'altronde, sono otto anni che la famiglia slovacca vive tra la ferrovia e il fiume Aniene, in povertà ma molto dignitosamente, in questa specie di casa che forse non entrerà nella storia dell' architettura, ma di certo colpisce per la sua originalità: una passata di cemento, una di bottiglie, una di cemento, una di bottiglie, così, fino a due metri di altezza. Da terra, però, l'acqua penetra facilmente e dentro, senza la stufa, si gela.
"Abbiamo amici che bevono molto, abbiamo chiesto loro di aiutarci e lo hanno fatto fornendoci le bottiglie", spiega la signora Anna, occhi chiari, 36 anni dei quali gli ultimi otto qui dopo la morte dei genitori e conseguenti problemi economici. Anna lavora come domestica, fa pulizie dovunque capiti pur di sbarcare il lunario; Joseph, il marito, lavora - quando trova un impiego - nell' edilizia, ma anche in qualunque altro settore. Ad aiutarli, come con due confinanti bielorussi, è una energica ottuagenaria italiana, Luciana, che abita nel palazzo di fronte.
All'interno della casa campeggia una copia abbozzata ma in stile del celebre autoritratto di Van Gogh. "Lo hanno fatto i nostri figli, Annamaria e Marco - spiega Anna - amano dipingere". E infatti, a guardar bene, la parete è piena di piccoli quadri disegnati dai bambini.
Piccole, grandi storie di povertà che si rincorrono nella Capitale e che si possono conoscere solo frequentando la "marginalità sociale" nei quartieri più periferici della città, in vere e proprie "favelas" che sorgono a ridosso di ferrovie o lungo i due fiumi, Tevere e Aniene, che attraversano Roma.
I nuovi poveri avanzano geograficamente e numericamente occupando argini di fiume, piloni di tangenziale, grotte o radure. Baracche, teloni e cartoni sembrano una caparbia conferma al diritto all' esistenza, prima che un ricovero. Un diritto ribadito a costo di violare regole urbanistiche e topografiche che per chi è ai margini appaiono promulgate per tutti gli altri.
A Roma duemila persone vivono in strada; altre 8/9.000 in auto, baracche, accampamenti. Un'ondata di disperati, nonostante gli sforzi dell'associazionismo - fra cui Comunità di Sant' Egidio e Caritas - e del Comune che negli anni ha moltiplicato i posti di accoglienza (4.200 i posti per le emergenze immediate e 15 mila per quella abitativa) e diversificato gli interventi, allestendo, tra l'altro una Sala Operativa Sociale (800.440022).
la povertà nel mondo
22 luglio 2011
LA POVERTÀ IN ITALIA 2
La povertà risulta sostanzialmente stabile rispetto
al 2009: l’11,0% delle famiglie è relativamente povero
e il 4,6% lo è in termini assoluti.
due componenti, è pari a 992,46 euro, circa 9 euro in
più rispetto alla soglia del 2009 (+1%).
La soglia di povertà relativa, per una famiglia di
più componenti (dal 24,9% al 29,9%), tra quelle con
membri aggregati (dal 18,2% al 23%) e di
monogenitori (dall’11,8% al 14,1%). La condizione
delle famiglie con membri aggregati peggiora anche
rispetto alla povertà assoluta (dal 6,6% al 10,4%).
La povertà relativa aumenta tra le famiglie di 5 o
cresce dal 36,7% del 2009 al 47,3% del 2010 tra le
famiglie con tre o più figli minori.
Nel Mezzogiorno l’incidenza di povertà relativa
persona di riferimento lavoratore autonomo (dal 6,2%
al 7,8%) o con un titolo di studio medio-alto (dal 4,8%
al 5,6%), a seguito del peggioramento osservato nel
Mezzogiorno (dal 14,3% al 19,2% e dal 10,7% al
13,9% rispettivamente), dove l’aumento più marcato si
rileva per i lavoratori in proprio (dal 18,8% al 23,6%).
Tra le famiglie con persona di riferimento diplomata o
laureata aumenta anche la povertà assoluta (dall’1,7%
al 2,1%).
La povertà relativa aumenta tra le famiglie con
lavoro in cui almeno un componente non ha mai
lavorato e non cerca lavoro, si tratta essenzialmente di
coppie di anziani con un solo reddito da pensione, la
cui quota aumenta dal 13,7% al 17,1% per la povertà
relativa e dal 3,7% al 6,2% per quella assoluta.
Peggiora la condizione delle famiglie di ritirati dal
relativa tra le famiglie con due o più anziani (dal 10,5%
al 7,1%).
Migliora, nel Centro, la condizione di povertà
persona di riferimento sotto i 65 anni (dal 3,0%
all’1,9%), a seguito di una maggiore presenza di
coppie con due percettori di reddito.
Tenuto conto dell’errore campionario (2,48%), la stima dell’incidenza di povertà relativa in Italia,
pari all’11%, oscilla, con una probabilità del 95%, tra il 10,5% e l’11,5%; rispetto al 2009, è rimasta
sostanzialmente stabile. Segnali di peggioramento si osservano, tuttavia, tra le famiglie di cinque o
più componenti (dal 24,9% al 29,9%), in particolare nel Centro (dal 16,1% al 26,1%), tra quelle con
membri aggregati (dal 18,2% al 23%) e di monogenitori (dall’11,8% al 14,1%); nel Mezzogiorno
peggiora la condizione delle famiglie con tre o più figli minori (dal 36,7% al 47,3%).
La povertà aumenta tra le famiglie con persona di riferimento lavoratore autonomo (dal 6,2% al
7,8%) o con un titolo di studio medio-alto (dal 4,8% al 5,6%), a seguito del peggioramento
osservato nel Mezzogiorno (dal 14,3% al 19,2% e dal 10,7% al 13,9% rispettivamente), dove
l’aumento è particolarmente marcato se si tratta di un lavoratore in proprio (dal 18,8% al 23,6%).
Peggiora anche la condizione delle famiglie di ritirati dal lavoro in cui almeno un componente non
ha mai lavorato e non cerca lavoro: essenzialmente, si tratta di coppie di anziani con un solo
reddito da pensione (dal 13,7% al 17,1%).
In Italia, nel 2010, sono 2 milioni 734 mila le famiglie in condizione di povertà relativa (l’11% delle
famiglie residenti); si tratta di 8 milioni 272 mila individui poveri, il 13,8% dell’intera popolazione. La
stima dell’incidenza della povertà relativa (cioè la percentuale di famiglie e persone povere) viene
calcolata sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa
per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. La soglia di
povertà relativa per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media mensile per persona
nel Paese, che nel 2010 è risultata di 992,46 euro (+1% rispetto al valore della soglia nel 2009).
Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa mensile pari o inferiore a tale valore
vengono classificate come povere.
Per famiglie di ampiezza diversa il valore della linea si ottiene applicando un’opportuna scala di
equivalenza che tiene conto delle economie di scala realizzabili all’aumentare del numero di
componenti..La povertà assoluta cala per le coppie con
La povertà in Italia
La povertà risulta sostanzialmente stabile rispetto al 2009: l’11,0% delle famiglie è relativamente povero e il 4,6% lo è in termini assoluti.
La soglia di povertà relativa, per una famiglia di due componenti, è pari a 992,46 euro, circa 9 euro in più rispetto alla soglia del 2009 (+1%).
La povertà relativa aumenta tra le famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9% al 29,9%), tra quelle con membri aggregati (dal 18,2% al 23%) e di monogenitori (dall’11,8% al 14,1%). La condizione delle famiglie con membri aggregati peggiora anche rispetto alla povertà assoluta (dal 6,6% al 10,4%).
Nel Mezzogiorno l’incidenza di povertà relativa cresce dal 36,7% del 2009 al 47,3% del 2010 tra le famiglie con tre o più figli minori.
La povertà relativa aumenta tra le famiglie con persona di riferimento lavoratore autonomo (dal 6,2% al 7,8%) o con un titolo di studio medio-alto (dal 4,8% al 5,6%), a seguito del peggioramento osservato nel Mezzogiorno (dal 14,3% al 19,2% e dal 10,7% al 13,9% rispettivamente), dove l’aumento più marcato si rileva per i lavoratori in proprio (dal 18,8% al 23,6%). Tra le famiglie con persona di riferimento diplomata o laureata aumenta anche la povertà assoluta (dall’1,7% al 2,1%).
Peggiora la condizione delle famiglie di ritirati dal lavoro in cui almeno un componente non ha mai lavorato e non cerca lavoro, si tratta essenzialmente di coppie di anziani con un solo reddito da pensione, la cui quota aumenta dal 13,7% al 17,1% per la povertà relativa e dal 3,7% al 6,2% per quella assoluta.
Migliora, nel Centro, la condizione di povertà relativa tra le famiglie con due o più anziani (dal 10,5% al 7,1%).
La povertà assoluta cala per le coppie con persona di riferimento sotto i 65 anni (dal 3,0% all’1,9%), a seguito di una maggiore presenza di coppie con due percettori di reddito.
La soglia di povertà relativa, per una famiglia di due componenti, è pari a 992,46 euro, circa 9 euro in più rispetto alla soglia del 2009 (+1%).
La povertà relativa aumenta tra le famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9% al 29,9%), tra quelle con membri aggregati (dal 18,2% al 23%) e di monogenitori (dall’11,8% al 14,1%). La condizione delle famiglie con membri aggregati peggiora anche rispetto alla povertà assoluta (dal 6,6% al 10,4%).
Nel Mezzogiorno l’incidenza di povertà relativa cresce dal 36,7% del 2009 al 47,3% del 2010 tra le famiglie con tre o più figli minori.
La povertà relativa aumenta tra le famiglie con persona di riferimento lavoratore autonomo (dal 6,2% al 7,8%) o con un titolo di studio medio-alto (dal 4,8% al 5,6%), a seguito del peggioramento osservato nel Mezzogiorno (dal 14,3% al 19,2% e dal 10,7% al 13,9% rispettivamente), dove l’aumento più marcato si rileva per i lavoratori in proprio (dal 18,8% al 23,6%). Tra le famiglie con persona di riferimento diplomata o laureata aumenta anche la povertà assoluta (dall’1,7% al 2,1%).
Peggiora la condizione delle famiglie di ritirati dal lavoro in cui almeno un componente non ha mai lavorato e non cerca lavoro, si tratta essenzialmente di coppie di anziani con un solo reddito da pensione, la cui quota aumenta dal 13,7% al 17,1% per la povertà relativa e dal 3,7% al 6,2% per quella assoluta.
Migliora, nel Centro, la condizione di povertà relativa tra le famiglie con due o più anziani (dal 10,5% al 7,1%).
La povertà assoluta cala per le coppie con persona di riferimento sotto i 65 anni (dal 3,0% all’1,9%), a seguito di una maggiore presenza di coppie con due percettori di reddito.
6 gennaio 2011
La drammatica situazione dei bambini nel continente latino americano
Per il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, la situazione dei bambini in America Latina è drammatica. Secondo il rapporto Unicef 2005, pubblicato nei giorni scorsi con il titolo "L’infanzia minacciata", oltre un miliardo di bambini nel mondo vede la propria infanzia negata a causa della povertà, dei conflitti armati e delle malattie come l’Aids. L’agenzia Onu sottolinea come nel mondo circa il 50 per cento dei minori non riescano a soddisfare i loro bisogni primari come la sanità e l’educazione.
La povertà - Centocinquanta milioni di discendenti dagli schiavi africani che nell’epoca coloniale lavoravano nei campi di cotone. Quaranta milioni di indigeni. E soprattutto i loro figli. Sono queste secondo il rapporto le due classi sociali più colpite dalla povertà in America Latina. Se le stime del rapporto dicono che il 90 per cento degli afrodiscendenti adulti vive in assoluta povertà, a pagarne le conseguenze sono però i bambini che crescono in uno stato di povertà congenita. Si può tranquillamente parlare di infantilizzazione della povertà. In un’intervista rilasciata alla Bbc Mundo, Nick Kastberg, direttore dell’Unicef per l’America Latina e i Caraibi, ha fatto sapere che durante i suoi viaggi ha visto parecchi bambini in condizioni estreme di povertà: "Quello che propone Unicef è che si prenda una coscienza politica di quello che sta succedendo e che di conseguenza le autorità politiche si mettano a discutere seriamente di tutti gli argomenti. Dalla fame alla povertà. Purtroppo però la realtà dei dati ci dice che l’anno scorso sono aumentati di sette milioni i cittadini latino americani che sono entrati nella fascia di povertà e fra loro ci sono soprattutto i bambini. Le belle parole vanno bene ma bisogna anche iniziare a compiere azioni." I bambini sperimentano la povertà provandola sulla loro pelle, toccandola con mano. La povertà materiale, il non avere nulla, come ad esempio iniziare la giornata senza un alimento nutritivo, causa, oltre alla malnutrizione, difficoltà nell’apprendimento, nella capacità conoscitiva e nella crescita fisica.
E’ difficilissimo dare una definizione di povertà nell’America Latina e nei Caraibi. Bisogna tenere in considerazione diversi elementi, come fame, mortalità infantile, analfabetismo. La Bristol and London School of Economics, incaricata dall’Unicef di realizzare parte del rapporto, ha preferito stabilire sette punti: nutrizione adeguata, accesso all’acqua potabile, infrastrutture decenti per la tutela della salute, dell'informazione, dell'educazione, del risanamento e dell'abitazione.
I conflitti - Su tutti il caso Colombia, un vero conflitto che da anni sconvolge anche i confini con Ecuador e Venezuela. "Purtroppo negli ultimi anni le Farc, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, stanno utilizzando sempre di più le mine antiuomo, armi micidiali che colpiscono soprattutto i bambini. E’ durissimo crescere senza un braccio o senza una gamba." Ma non solo. Il conflitto implica anche l’arruolamento, più o meno coatto, dei piccoli. "Il reclutamento dei minori è un problema molto serio, soprattutto in Colombia" continua Nick Kastberg.
In Colombia esistono minori che combattono quotidianamente una guerra. E che quotidianamente in guerra perdono la vita. Il dramma vero dei conflitti armati è che, direttamente o meno, colpiscono in prevalenza i bambini. I gruppi armati utilizzano i bambini perché obbediscono facilmente e possono essere obbligati a commettere omicidi. Tutti i bambini che vengono reclutati con la forza o che si aggregano ai gruppi armati volontariamente per sfuggire alla povertà perdono per prima cosa la loro infanzia.
La guerra causa distruzione e con essa l’impossibilità di accedere alle infrastrutture adibite all’educazione, ai servizi sanitari. Purtroppo l’Unicef non è in grado di dare un dato certo e definitivo sui bambini che vengono utilizzati nei combattimenti. Una stima però parla di circa centomila unità.
Uno dei diritti fondamentali dell’infanzia è disporre di una vita familiare. Ma la guerra non rispetta nemmeno questo diritto: espelle le persone dai propri luoghi di origine e dalle loro proprietà, le famiglie si disgregano per lasciare posto ai campi di battaglia.
Hiv e Aids - Altissima è la percentuale di bambini affetti dalla sindrome da immunodeficienza acquisita: l'Aids. Nella regione sono aumentati i casi di contagio. Questo ha fatto sì che la zona divenisse la seconda parte del mondo più colpita dal virus. A farne le spese, anche in questo caso, i minori. In Guatemala ad esempio sono stati accertati circa cinquantamila bambini orfani da Aids anche se l’indice più alto si registra ad Haiti dove sono più di duecentocinquantamila i bambini divenuti orfani. Per il 2010 si potrebbe arrivare a raggiungere una cifra pari a quattrocentomila unità. L’altissimo livello di abusi sessuali su minori fa in modo che i bambini ricevano il contagio senza saperlo. La mancanza totale di educazione sessuale, infine, alimenta la crescita dei contagiati.
Povertà, guerre e AIDS: esperienze orribili per la metà dei bambini della terra
Oltre la metà dei bambini della terra soffre pesanti privazioni a causa di povertà, conflitti e HIV/AIDS, fenomeni che negano l’infanzia ai bambini e bloccano lo sviluppo delle nazioni: a sottolinearlo è il rapporto annuale sulla condizione dell’infanzia nel mondo. “Ad oltre un miliardo di bambini – ha evidenziato Carol Bellamy, Direttore generale dell’UNICEF – è ancora negato il sano sviluppo promesso loro dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989”. Il rapporto UNICEF ha inoltre evidenziato che l’incapacità dei governi d’essere all’altezza dei precetti della Convenzione produce sull’infanzia danni permanenti, traducendosi in un ostacolo al progresso dei diritti umani e dell’economia. Il rapporto è stato presentato a Londra, alla London School of Economics, e in contemporanea in tutto il mondo; in Italia, a Roma, presso la sala dell’Associazione Stampa Estera, si è svolta una conferenza stampa alla presenza del Presidente dell’UNICEF Italia Giovanni Micali. “Troppi governi adottano consapevolmente e deliberatamente decisioni che, nei fatti, arrecano gravi danni all’infanzia - ha affermato Carol Bellamy, presentando il rapporto UNICEF - La povertà non viene dal nulla; la guerra non è un evento spontaneo; l’AIDS non si diffonde per cause intrinseche: questi fenomeni sono conseguenza delle nostre scelte. Se la metà dei bambini del mondo cresce afflitta da fame e malattie, se le scuole sono divenute un bersaglio deliberato, se interi villaggi vengono spopolati dall’HIV/AIDS ciò significa che non abbiamo mantenuto le promesse fatte per l’infanzia”. Il rapporto dell’UNICEF è giunto alla conclusione che oltre la metà dei bambini dei paesi in via di sviluppo vede drasticamente negati uno o più beni e servizi essenziali per l’infanzia:
640 milioni di bambini non dispongono di alloggi adeguati
500 milioni di bambini non hanno accesso a servizi igienici di base
400 milioni di bambini non hanno accesso a fonti d’acqua sicura
300 milioni di bambini non hanno accesso all’informazione (TV, radio e stampa)
270 milioni di bambini non hanno accesso ai servizi sanitari
oltre 120 milioni di bambini (140 milioni secondo le stime dell’Università di Bristol), la maggior parte dei quali sono bambine, non sono mai andati a scuola
90 milioni di bambini soffrono di grave carenza di cibo.
Insieme al malgoverno, la povertà estrema è tra i fattori principali all’origine dei conflitti, soprattutto delle guerre civili, in cui fazioni armate competono per il controllo di risorse nazionali mal gestite: il rapporto mostra che 55 dei 59 conflitti armati svoltisi tra il 1990 e il 2003 hanno avuto luogo all’interno dei, piuttosto che tra i, paesi. L’impatto sull’infanzia è stato alto: secondo il rapporto, quasi la metà delle 3,6 milioni di persone morte in guerra dal 1990 a oggi sono bambini. E i bambini ormai sono divenuti un bersaglio deliberato, come drammaticamente dimostrato dall’attacco del settembre 2004 alla scuola di Beslan, nella Federazione Russa. Il rapporto evidenzia inoltre come centinaia di migliaia di bambini vengono tutt’oggi reclutati o rapiti per combattere come soldati; cadono vittime dello sfruttamento sessuale; vengono menomati dalle mine; sono costretti a commettere atrocità e a uccidere; spesso rimangono orfani a causa delle violenze; nel corso degli anni 90, quasi 20 milioni di bambini hanno dovuto abbandonare le proprie case a causa di conflitti armati. L’impatto della guerra sulle condizioni sanitarie complessive risulta catastrofico: in una guerra che dura in media 5 anni - evidenzia il rapporto - il tasso di mortalità 0-5 anni aumenta del 13%. E, dal momento che i conflitti aggravano condizioni di povertà pre-esistenti, divengono necessarie, a livello globale, maggiori attenzioni e investimenti nei processi di ricostruzione postbellica. L’impatto sull’infanzia dell’HIV/AIDS emerge in modo drammatico dal numero crescente di orfani dell’AIDS, oggi è pari a 15 milioni di bambini orfani in tutto il mondo. La morte di un genitore si ripercuote su ogni aspetto della vita del bambino, sottolinea il rapporto: dalla sfera emotiva all’incolumità fisica, dallo sviluppo cognitivo al generale stato di salute. Ma i bambini soffrono per gli effetti perniciosi dell’HIV/AIDS molto prima di rimanere orfani. Nelle famiglie colpite dall’HIV/AIDS, molti bambini - la maggior parte dei quali bambine – si vedono costretti ad abbandonare la scuola, per badare ai familiari malati o per lavorare, a causa delle difficoltà economiche causate dalla malattia dei familiari. In questo modo crescono i rischi di incorrere in lavori pericolosi o di cadere vittime di sfruttamento. L’HIV/AIDS non solo causa la morte dei genitori ma distrugge anche la rete di protezione sociale creata dagli adulti per i bambini: molti dei malati o delle persone morte di AIDS sono insegnanti, medici o altre figure da cui i bambini dipendono. E dal momento che l’incidenza dell’AIDS tende a crescere maggiormente nei gruppi già colpiti, una volta che gli adulti cominciano a morire le conseguenze complessive sui bambini sopravvissuti sono devastanti. A causa dell’intervallo di tempo tra il contagio da HIV e la morte per AIDS, la crisi continuerebbe a peggiorare per almeno i prossimi dieci anni, anche nell’ipotesi in cui la diffusione di nuovi contagi venisse immediatamente arrestata o cominciasse a diminuire: il rapporto UNICEF indica nel dettaglio le misure che gli Stati devono adottare per prevenire la diffusione dell’AIDS, per mantenere in vita gli adulti affetti da HIV e provvedere alla cura e al sostegno dei bambini già orfani.
La condizione dell’infanzia nel mondo afferma che colmare il divario tra il nostro ideale di infanzia e la realtà concretamente vissuta dalla metà dei bambini della terra è una questione di scelte. Per far ciò è necessario:Adottare un approccio allo sviluppo sociale ed economico fondato sui diritti umani, dedicando speciale attenzione alla condizione dei bambini più vulnerabili.
Perseguire politiche socialmente responsabili in tutte le sfere dello sviluppo, che tengano sempre presenti le esigenze dei bambini.
Aumentare l’investimento di donatori e governi sull’infanzia, con i bilanci nazionali valutati e analizzati in base al loro impatto sull’infanzia.
Impegnare singoli individui, famiglie, settore privato e comunità per migliorare la vita dei bambini e utilizzare le proprie risorse per promuovere e proteggere i diritti dell’infanzia.
“L’approvazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia è stato il momento in cui, a livello globale, si è affermato con chiarezza che il progresso umano può essere conseguito solo quando ogni bambino gode di un’infanzia sana e protetta - ha affermato il Direttore generale dell’UNICEF - Ma la qualità della vita di un bambino dipende dalle decisioni che quotidianamente adottiamo in seno alla famiglia, nelle nostre comunità e nelle stanze del governo; decisioni che dobbiamo assumere in modo saggio e con sempre a mente il superiore interesse del bambino. Se non riusciremo a rendere l’infanzia sicura, falliremo anche nel conseguire obiettivi più vasti di portata globale, riguardanti i diritti umani e lo sviluppo economico. Se l’infanzia progredisce, progrediscono anche le nazioni”.
Oltre la metà dei bambini della terra soffre pesanti privazioni a causa di povertà, conflitti e HIV/AIDS, fenomeni che negano l’infanzia ai bambini e bloccano lo sviluppo delle nazioni: a sottolinearlo è il rapporto annuale sulla condizione dell’infanzia nel mondo. “Ad oltre un miliardo di bambini – ha evidenziato Carol Bellamy, Direttore generale dell’UNICEF – è ancora negato il sano sviluppo promesso loro dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989”. Il rapporto UNICEF ha inoltre evidenziato che l’incapacità dei governi d’essere all’altezza dei precetti della Convenzione produce sull’infanzia danni permanenti, traducendosi in un ostacolo al progresso dei diritti umani e dell’economia. Il rapporto è stato presentato a Londra, alla London School of Economics, e in contemporanea in tutto il mondo; in Italia, a Roma, presso la sala dell’Associazione Stampa Estera, si è svolta una conferenza stampa alla presenza del Presidente dell’UNICEF Italia Giovanni Micali. “Troppi governi adottano consapevolmente e deliberatamente decisioni che, nei fatti, arrecano gravi danni all’infanzia - ha affermato Carol Bellamy, presentando il rapporto UNICEF - La povertà non viene dal nulla; la guerra non è un evento spontaneo; l’AIDS non si diffonde per cause intrinseche: questi fenomeni sono conseguenza delle nostre scelte. Se la metà dei bambini del mondo cresce afflitta da fame e malattie, se le scuole sono divenute un bersaglio deliberato, se interi villaggi vengono spopolati dall’HIV/AIDS ciò significa che non abbiamo mantenuto le promesse fatte per l’infanzia”. Il rapporto dell’UNICEF è giunto alla conclusione che oltre la metà dei bambini dei paesi in via di sviluppo vede drasticamente negati uno o più beni e servizi essenziali per l’infanzia:
640 milioni di bambini non dispongono di alloggi adeguati
500 milioni di bambini non hanno accesso a servizi igienici di base
400 milioni di bambini non hanno accesso a fonti d’acqua sicura
300 milioni di bambini non hanno accesso all’informazione (TV, radio e stampa)
270 milioni di bambini non hanno accesso ai servizi sanitari
oltre 120 milioni di bambini (140 milioni secondo le stime dell’Università di Bristol), la maggior parte dei quali sono bambine, non sono mai andati a scuola
90 milioni di bambini soffrono di grave carenza di cibo.
Insieme al malgoverno, la povertà estrema è tra i fattori principali all’origine dei conflitti, soprattutto delle guerre civili, in cui fazioni armate competono per il controllo di risorse nazionali mal gestite: il rapporto mostra che 55 dei 59 conflitti armati svoltisi tra il 1990 e il 2003 hanno avuto luogo all’interno dei, piuttosto che tra i, paesi. L’impatto sull’infanzia è stato alto: secondo il rapporto, quasi la metà delle 3,6 milioni di persone morte in guerra dal 1990 a oggi sono bambini. E i bambini ormai sono divenuti un bersaglio deliberato, come drammaticamente dimostrato dall’attacco del settembre 2004 alla scuola di Beslan, nella Federazione Russa. Il rapporto evidenzia inoltre come centinaia di migliaia di bambini vengono tutt’oggi reclutati o rapiti per combattere come soldati; cadono vittime dello sfruttamento sessuale; vengono menomati dalle mine; sono costretti a commettere atrocità e a uccidere; spesso rimangono orfani a causa delle violenze; nel corso degli anni 90, quasi 20 milioni di bambini hanno dovuto abbandonare le proprie case a causa di conflitti armati. L’impatto della guerra sulle condizioni sanitarie complessive risulta catastrofico: in una guerra che dura in media 5 anni - evidenzia il rapporto - il tasso di mortalità 0-5 anni aumenta del 13%. E, dal momento che i conflitti aggravano condizioni di povertà pre-esistenti, divengono necessarie, a livello globale, maggiori attenzioni e investimenti nei processi di ricostruzione postbellica. L’impatto sull’infanzia dell’HIV/AIDS emerge in modo drammatico dal numero crescente di orfani dell’AIDS, oggi è pari a 15 milioni di bambini orfani in tutto il mondo. La morte di un genitore si ripercuote su ogni aspetto della vita del bambino, sottolinea il rapporto: dalla sfera emotiva all’incolumità fisica, dallo sviluppo cognitivo al generale stato di salute. Ma i bambini soffrono per gli effetti perniciosi dell’HIV/AIDS molto prima di rimanere orfani. Nelle famiglie colpite dall’HIV/AIDS, molti bambini - la maggior parte dei quali bambine – si vedono costretti ad abbandonare la scuola, per badare ai familiari malati o per lavorare, a causa delle difficoltà economiche causate dalla malattia dei familiari. In questo modo crescono i rischi di incorrere in lavori pericolosi o di cadere vittime di sfruttamento. L’HIV/AIDS non solo causa la morte dei genitori ma distrugge anche la rete di protezione sociale creata dagli adulti per i bambini: molti dei malati o delle persone morte di AIDS sono insegnanti, medici o altre figure da cui i bambini dipendono. E dal momento che l’incidenza dell’AIDS tende a crescere maggiormente nei gruppi già colpiti, una volta che gli adulti cominciano a morire le conseguenze complessive sui bambini sopravvissuti sono devastanti. A causa dell’intervallo di tempo tra il contagio da HIV e la morte per AIDS, la crisi continuerebbe a peggiorare per almeno i prossimi dieci anni, anche nell’ipotesi in cui la diffusione di nuovi contagi venisse immediatamente arrestata o cominciasse a diminuire: il rapporto UNICEF indica nel dettaglio le misure che gli Stati devono adottare per prevenire la diffusione dell’AIDS, per mantenere in vita gli adulti affetti da HIV e provvedere alla cura e al sostegno dei bambini già orfani.
La condizione dell’infanzia nel mondo afferma che colmare il divario tra il nostro ideale di infanzia e la realtà concretamente vissuta dalla metà dei bambini della terra è una questione di scelte. Per far ciò è necessario:Adottare un approccio allo sviluppo sociale ed economico fondato sui diritti umani, dedicando speciale attenzione alla condizione dei bambini più vulnerabili.
Perseguire politiche socialmente responsabili in tutte le sfere dello sviluppo, che tengano sempre presenti le esigenze dei bambini.
Aumentare l’investimento di donatori e governi sull’infanzia, con i bilanci nazionali valutati e analizzati in base al loro impatto sull’infanzia.
Impegnare singoli individui, famiglie, settore privato e comunità per migliorare la vita dei bambini e utilizzare le proprie risorse per promuovere e proteggere i diritti dell’infanzia.
“L’approvazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia è stato il momento in cui, a livello globale, si è affermato con chiarezza che il progresso umano può essere conseguito solo quando ogni bambino gode di un’infanzia sana e protetta - ha affermato il Direttore generale dell’UNICEF - Ma la qualità della vita di un bambino dipende dalle decisioni che quotidianamente adottiamo in seno alla famiglia, nelle nostre comunità e nelle stanze del governo; decisioni che dobbiamo assumere in modo saggio e con sempre a mente il superiore interesse del bambino. Se non riusciremo a rendere l’infanzia sicura, falliremo anche nel conseguire obiettivi più vasti di portata globale, riguardanti i diritti umani e lo sviluppo economico. Se l’infanzia progredisce, progrediscono anche le nazioni”.
17 ottobre |
"Sappiatelo, sovrani e vassalli, eminenze e mendicanti,
nessuno avrà diritto al superfluo,
finché uno solo mancherà del necessario."
Salvador Diaz Miròn
Che cosa significa povertà?
La povertà è fame. La povertà è vivere senza un tetto. La povertà è essere ammalati e non riuscire a farsi visitare da un medico.
La povertà è non potere andare a scuola e non sapere leggere. La povertà è non avere un lavoro, è timore del futuro, è vivere giorno per giorno.
La povertà è perdere un figlio per una malattia causata dall'inquinamento dell'acqua.
La povertà è non avere potere e non essere rappresentati adeguatamente; la povertà è macanza di libertà.
La povertà assume volti diversi, volti che cambiano nei luoghi e nel tempo, ed è stata descritta in molti modi (vedi la Letteratura della povertà, in inglese).
La povertà assume volti diversi, volti che cambiano nei luoghi e nel tempo, ed è stata descritta in molti modi (vedi la Letteratura della povertà, in inglese).
La povertà è una situazione da cui la gente vuole evadere.
La povertà, quindi, richiede azioni sia da parte dei poveri che dei benestanti, e richiede di cambiare il mondo per fare sì che molte più persone possano avere un buon livello di nutrizione, un alloggio adeguato, accesso all'educazione e alla salute, protezione dalla violenza, e voce in ciò che succede nella loro comunità.
Le dimensioni della povertà
Per capire come si può ridurre la povertà, per capire ciò che contribuisce o meno ad alleviarla e per capire come cambia nel tempo, bisogna definire, misurare, studiare ed anche vivere la povertà.
Le dimensioni della povertà
Per capire come si può ridurre la povertà, per capire ciò che contribuisce o meno ad alleviarla e per capire come cambia nel tempo, bisogna definire, misurare, studiare ed anche vivere la povertà.
Dato che la povertà ha tante dimensioni, deve essere osservata mediante una serie di indicatori; indicatori dei livelli di reddito e di consumo, indicatori sociali ed anche indicatori della vulnerabilità e del livello di accesso alla società e alla vita politica.
Fino ad ora la maggior parte degli studi è stata condotta utilizzando misure di povertà basate sui consumi o sui redditi. Ma alcuni studi sono stati condotti anche su altre dimensioni della povertà; esempi sono il Rapporto sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite (UNDP) e il Rapporto sullo sviluppo mondiale 2000/01 (WDR) sui temi di povertà e sviluppo della Banca Mondiale.
Fino ad ora la maggior parte degli studi è stata condotta utilizzando misure di povertà basate sui consumi o sui redditi. Ma alcuni studi sono stati condotti anche su altre dimensioni della povertà; esempi sono il Rapporto sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite (UNDP) e il Rapporto sullo sviluppo mondiale 2000/01 (WDR) sui temi di povertà e sviluppo della Banca Mondiale.
......Non chiedermi cosa è la povertà perché l'hai incontrata nella mia casa.
Guarda il tetto e conta il numero dei buchi.
Guarda i miei utensili e gli abiti che indosso.
Guarda dappertutto e scrivi cosa vedi.
Quello che vedi è la povertà.
Kenya, 1997
Ma cosa è la povertà?
....................Nel mondo, l'estrema povertà confina con l'abbondanza. Dei 6 miliardi di abitanti del pianeta, 2,8 miliardi hanno meno di 5.000 lire al giorno per sopravvivere, e 1,2 miliardi meno di 2.500 lire al giorno. Ma la povertà non è solo mancanza di soldi.
Povertà è l'umiliazione, la sensazione di essere dipendenti da altri, di essere obbligati ad accettare offese, disprezzo, e trovare indifferenza quando si cerca aiuto.
La povertà è un'inaccettabile privazione del benessere cui ha diritto un essere umano.
La povertà è un'inaccettabile privazione del benessere cui ha diritto un essere umano.
Ma cosa è privazione, e cosa è inaccettabile?
Gli uomini non hanno tutti la stessa visione del concetto di povertà, né valutano egualmente le sue cause.
Per noi, l'esperienza della povertà non comprende solamente basse retribuzioni e consumi ridotti al minimo, ma anche difficoltà d'accesso ad un adeguato livello di educazione, di risorse sanitarie e d'alimentazione.
Supera gli aspetti monetari per includere il pericolo e la vulnerabilità, l'impotenza rispetto all'incertezza quotidiana, l'incapacità a far udire la propria voce.
Supera gli aspetti monetari per includere il pericolo e la vulnerabilità, l'impotenza rispetto all'incertezza quotidiana, l'incapacità a far udire la propria voce.
L'esperienza della povertà non è solo mancanza di benessere materiale, ma anche negazione dell'opportunità di vivere una vita tollerabile.
La vita può essere accorciata. Può essere resa difficile, dolorosa, o casuale; privata di dignità, fiducia.
La vita può essere accorciata. Può essere resa difficile, dolorosa, o casuale; privata di dignità, fiducia.
La povertà limita la vita.
La visione del filosofo ed economista Amartya Sen sarebbe forse condivisa dai poveri stessi.
La visione del filosofo ed economista Amartya Sen sarebbe forse condivisa dai poveri stessi.
Sen considera l'esperienza della povertà nel suo contesto sociale, e vede la povertà in termini di impossibilità a svolgere alcune fondamentali attività dell'uomo (Sen 1984, 1993): "la povertà deve essere intesa come la privazione delle capabilities fondamentali dell'uomo" (Sen 1999).
L'idea di fondo del suo human poverty approach al concetto di povertà è che la povertà dovrebbe includere sia ciò che potremmo o non potremmo fare (capabilities), sia ciò che ci è effettivamente concesso di fare (functions).
Quest'idea ha svolto un ruolo fondamentale nell'allargamento della lotta alla povertà che, non più legata alla sola dimensione del reddito, viene ad includere il diritto ad una vita lunga, creativa, tutelata da malattie e violenze - e il diritto ad un buon tenore di vita, alla dignità, all'autostima e al rispetto altrui.
Se il benessere permette di contrastare un futuro di incertezza e di vulnerabilità, l'incapacità a decidere la propria vita diviene un aspetto del concetto di povertà.
È per questo che anche la vulnerabilità, l'incapacità a far udire la propria voce e l'impotenza politica sono dimensioni della povertà.
È per questo che anche la vulnerabilità, l'incapacità a far udire la propria voce e l'impotenza politica sono dimensioni della povertà.
Perciò anche l'arbitrio, la sottomissione e l'insicurezza sono divenute dimensioni della povertà, al pari di un reddito insufficiente.
È necessario un più ampio approccio al concetto di povertà, non più limitato alla constatazione di bassi redditi, che è il criterio comune col quale si misurava la povertà................
Se la povertà è la madre dei delitti, lo scarso ingegno ne è il padre. Jean de La Bruyère
1. Circa 24.000 persone muoiono ogni giorno per fame o cause ad essa correlate. I dati sono migliorati rispetto alle 35.000 persone di dieci anni fa o le 41.000 di venti anni fa. Tre quarti dei decessi interessano bambini al di sotto dei cinque anni d'età.
2. Oggi, il 10% dei bambini che vivono in paesi in via di sviluppo muoiono prima di aver compiuto cinque anni. Anche in questo caso, il dato è migliorato rispetto al 28% di cinquanta anni fa.
3. Carestia e guerre causano solo il 10% dei decessi per fame, benchè queste siano le cause di cui si sente più spesso parlare. La maggior parte dei decessi per fame sono causati da malnutrizione cronica. I nuclei familiari semplicemente non riescono ad ottenere cibo sufficiente. Questo a sua volta è dovuto all'estrema povertà.
4. Oltre alla morte, la malnutrizione cronica causa indebolimento della vista, uno stato permanente di affaticamento che causa una bassa capacità di concentrarsi e lavorare, una crescita stentata ed un'estrema suscettibilità alle malattie. Le persone estremamente malnutrite non riescono a mantenere neanche le funzioni vitali basilari.
5. Si calcola che circa 800 milioni di persone nel mondo soffrano per fame e malnutrizione, circa 100 volte il numero di persone che effettivamente ne muoiono ogni anno.
6. Spesso, le popolazioni più povere necessitano di minime risorse per riuscire a coltivare sufficienti prodotti commestibili e diventare autosufficienti. Queste risorse possono essere: semi di buona qualità, attrezzi agricoli appropriati e l'accesso all'acqua. Minimi miglioramenti delle tecniche agricole e dei sistemi di conservazione dei cibi apportano ulteriore aiuto.
7. Numerosi esperti in questo campo, sono convinti che il modo migliore per alleviare la fame nel mondo sia l'istruzione. Le persone istruite riescono più facilmente ad uscire dal ciclo di povertà che causa la fame.
Fonti (divise in paragrafi):
1) Il Progetto contro la Fame nel Mondo, Nazioni Unite;
2) CARE;
3) Istituto per la promozione dello sviluppo e dell'alimentazione;
4) Programma mondiale per il cibo delle Nazioni Unite (WFP);
5) Organizzazione delle Nazione Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO);
6) Oxfam;
7) Fondo per l'infanzia delle Nazioni Unite (UNICEF)
Risoluzione del Parlamento europeo sulla giornata internazionale per l'eliminazione della povertà.
Adozione da parte del Parlamento europeo in data 23 ottobre. Il Parlamento si preoccupa della situazione di circa 52 milioni di cittadini europei che vivono al di sotto della soglia della povertà e sottolinea la necessità di adottare un programma di lotta contro la povertà che tenga conto dell'esperienza acquisita dall'Unione europea e di iscriverlo tra le sue priorità. Esso rileva che l'applicazione delle azioni prioritarie raccomandate dal Consiglio europeo di Essen in materia di occupazione offre una base che consente di sviluppare programmi nazionali che sono in grado di rispondere alle esigenze delle persone emarginate o escluse del mercato del lavoro. Esso invita gli Stati membri che hanno partecipato al vertice mondiale per lo sviluppo sociale, organizzato a Copenaghen nel marzo 1995, a rispettare gli impegni firmati in tale occasione. Esso è sconcertato dall'azione di taluni Stati membri, che ha comportato la sospensione del pagamento dei 12 milioni di ecu destinati alle persone socialmente escluse, agli anziani e ai poveri. Esso chiede inoltre all'Unione di adottare misure volte ad evitare l'aumento del numero delle donne che versano in condizioni di povertà.
Infine, esso approva la celebrazione del 17 ottobre come giornata mondiale per l'eliminazione della povertà e rende omaggio alle persone che si impegnano quotidianamente in questa lotta.[ GU C 347 del 18.11.1996 ]
MESSAGGIO DEL SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE
IN OCCASIONE DELLA GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DELLA POVERTA’ - 17 ottobre 2001
Kofi Annan avverte che milioni di persone in più saranno soggette alla povertà, a causa degli effetti economici a seguito degli eventi dell’ 11 settembre. Egli richiede un rinnovato impegno per il miglioramento delle condizioni dei diseredati, come sancito nella Dichiarazione del Millennio.
Poco più di un anno fa, gli Stati Membri delle Nazioni Unite si riunirono a New York, in occasione del Vertice del Millennio, per definire l’agenda del ventunesimo secolo, cioè un piano volto a raggiungere la libertà dalla paura, la libertà dal bisogno, la preservazione delle risorse del nostro pianeta e la riforma delle Nazioni Unite. Essi si impegnarono a liberare i propri popoli da "le abiette e disumane condizioni di estrema povertà, a cui sono attualmente soggetti oltre un miliardo di persone" e si imposero "di dimezzare, entro il 2015, la percentuale della popolazione mondiale il cui reddito è inferiore a un dollaro al giorno".
Poco più di un mese fa, i tragici eventi che sconvolsero l’umanità ci indussero a comprendere la necessità per la comunità internazionale di lavorare insieme, ancor più strettamente, allo scopo di far fronte alle complesse sfide del nostro tempo. Da allora, la nostra missione volta a combattere la povertà, migliorare le condizioni di vita degli essere umani ovunque e ridurre la loro vulnerabilità, è divenuta più importante ed urgente che mai. L’impatto della strage dell’11 settembre minaccia di riverberarsi sul mondo intero in modalità tali da rendere più vulnerabili alla povertà tanti altri milioni di esseri umani, rispetto a prima.
Oggi, oltre 1,2 miliardo di persone vive in estrema povertà. Come conseguenza degli attacchi dell’11 settembre, si prevede un significativo rallentamento dell’economia mondiale, rischiando di dipanare i progressi raggiunti così difficilmente nell’ambito dello sviluppo. La Banca Mondiale stima che, come risultato, 15 milioni di persone in più potrebbero trovarsi, l’anno prossimo, in condizioni di miseria. Gli effetti della caduta dei prezzi dei beni primari, la tensione politica, l’abbassamento dei prezzi del petrolio, la diminuzione degli investimenti, il calo degli introiti provenienti dal settore turistico, l’ascesa dei costi del commercio e i movimenti dei rifugiati incideranno sui meno abbienti.
Risulta evidente che sforzi addizionali saranno fondamentali se vogliamo raggiungere gli obiettivi preposti dalla Dichiarazione del Millennio. I Paesi devono avviare strategie più efficaci di riduzione della povertà, incentrate sugli Obiettivi dello Sviluppo del Millennio, con il sostegno della stessa comunità internazionale. La crescita deve essere incoraggiata ed i suoi benefici devono essere distribuiti più equamente. I Governi devono assicurarsi che le spese per l’istruzione e la salute giungano ai ceti più deboli. Deve essere anche migliorato l’accesso alla microfinanza. Le strategie di sviluppo devono focalizzarsi sulle aree rurali, in cui dimorano tre quarti dei poveri del mondo.
I partner della comunità internazionale devono agevolare un ambiente propizio allo sviluppo. Dobbiamo noi stessi garantire l’avvio, il prossimo mese, di nuovi negoziati in materia di commercio internazionale, incentrati sullo sviluppo. I flussi ufficiali di capitale devono incrementarsi, per compensare i più modesti flussi privati. Altresì, é necessaria una riduzione più significativa, più veloce e più incisiva del debito estero. Pertanto dobbiamo mobilitare la volontà politica necessaria per rendere la Conferenza Internazionale sul Finanziamento e lo Sviluppo del prossimo anno un vero successo.
Decidiamo in questa Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Povertà, di focalizzare la nostra attenzione sugli obiettivi che i Capi di Stato e di Governo del mondo si sono prefissati per il nuovo millennio. I Governi lavorarono insieme per offrirci la Dichiarazione del Millennio e quindi devono lavorare insieme per il bene dei più vulnerabili su questa terra, ossia per tradurre ciò in realtà.
IL BILANCIO DELLA POVERTA’ MONDIALE
- 963 milioni di persone nel mondo vivono in condizioni di povertà.
- Ogni cinque secondi un bambino muore di fame.
- Ad oggi sono oltre 700 milioni i lavoratori informali che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno e circa 1.200.000 miliardi con meno di due dollari al giorno.
- Senza contratto di lavoro nè tutele sociali: nel 2020, due terzi della popolazione attiva mondiale potrebbe trovarsi a lavorare in queste condizioni.
PIU’ SOLDI IN ARMI E MENO IN SALUTE E SVILUPPO: I PARADOSSI DELLA POLITICA GLOBALE
- La spesa annuale per la lotta all’Hiv/Aids, una malattia che miete 3 milioni di vite all’anno, equivale alla spesa di 3 giorni in armamenti.
- Ogni anno, il mondo spende 1 trilione di dollari in difesa, circa 325 miliardi in agricoltura e solo 60 miliardi in aiuti allo sviluppo.
- Per ogni dollaro speso in cooperazione allo sviluppo, 10 dollari sono spesi per armamenti.
AGRICOLTURA: MANTENERE LE PROMESSE DEL VERTICE FAO 2008
- I prezzi mondiali dei cereali sono aumentati del 71% rispetto al 2005.
- I paesi ricchi forniscono più di 95,8 miliardi di euro in sussidi diretti ai loro agricoltori, ma i paesi del G8 hanno stanziato meno di 1/5 dei 15,3 miliardi di euro in aiuti per l’agricoltura promessi al vertice Fao del 2008 a Roma.
CAMBIAMENTI CLIMATICI: UNA MINACCIA PER 375 MILIONI DI PERSONE
- Nel 2015 potrebbero essere 375 milioni le persone colpite ogni anno da calamità legate ai cambiamenti climatici, un aumento del 50% rispetto agli attuali 250 milioni.
- Si stima un aumento di 133 milioni di persone in più, fra 6 anni, colpite da catastrofi naturali causate dal riscaldamento globale (sono esclusi terremoti, guerre ed eruzioni vulcaniche).
ISTRUZIONE: 72 MILIONI DI BAMBINI NON VANNO A SCUOLA
- Nel mondo mancano 4,25 milioni – 1 milione solo in Africa – di medici e operatori, oltre a 2,5 milioni di insegnanti.
- 72 milioni di bambini non vanno a scuola. Di questi la maggioranza sono bambine.
- Solo la metà di tutti i bambini, e ancora meno bambine, completano le elementari nell’Africa sub-Sahariana: una ragazza africana media di 16 anni ha meno di 3 anni di scuola.
- Nel 2000, il 45% degli insegnanti appena laureati in Zambia sono morti a causa dell' Aids. Nei prossimi 10 anni, 1 operatore medico-sanitario su 3 morirà probabilmente a causa dell'Aids.
SALUTE: DUE MILIARDI DI PERSONE NON DISPONGONO DI STRUTTURE SANITARIE ADEGUATE
- Più di tre milioni di persone sono morte nel 2005 a causa del virus dell’Hiv/Aids; 33 milioni di persone sono affette dal virus dell’Hiv e queste cifre stanno aumentando.
- Più di 4000 bambini al giorno con meno di 5 anni muoiono di diarrea, una malattia facilmente evitabile
- Nei paesi poveri, ogni minuto muore una madre di parto per carenze e inefficienze nel sistema sanitario
- Un miliardo di persone vive senza avere accesso all’acqua pulita, e due miliardi senza strutture igienico-sanitarie adeguate.
12 ottobre 2010
Nel mondo i poveri aumentano: + 64 milioni solo nel 2009
Milano, 20 settembre – Questa pessima notizia inizia a fare il giro del mondo il 20 settembre a New York, durante l’ennesimo summit dell’Onu sulla fame nel mondo. Nel discorso d’apertura il numero uno della Banca Mondiale, Robert Zoellik, rende noti gli ultimi dati globali sulla povertà.
Secondo questi dati, la recente crisi economica ha aumentato il numero di poveri nel mondo, ed anche innalzato il numero di chi soffre letteralmente la fame. 64 milioni di nuovi poveri e 40 milioni di affamati rispetto al periodo precedente la crisi.
Robert Zoellik, ha sottolineato come gli sforzi fatti fin’ora non siano stati sufficienti, ed ha invitato tutta la comunità internazionale a fare di più. Si è unito all’appello anche il direttore del Fondo Monetario Internazionale,Dominique Strauss-Kahn, che dichiara: “ Senza una crescita globale, gli sforzi per aiutare i paesi in via di sviluppo rischiano di non essere efficaci”. Realistico e lungimirante il commento del segretario generale dell’Onu Ban-Ki-Moon che afferma: “La ripresa non può riportarci sul sentiero di prima , ingiusto e sbilanciato”.
Gli obbiettivi delle Nazioni Unite sono fissati nel programma chiamato “Millennio” che si prefigge entro il 2015 di migliorare sostanzialmente la situazione di estrema povertà in molti paesi del mondo. Tirando le somme questo ultimo incontro è servito per dichiarare pubblicamente che il primo degli otto traguardi prefissati negli obbiettivi di sviluppo del Millennio, dimezzare la percentuale di popolazione in condizioni di povertà estrema rispetto al 1990, sono stati disattesi per ora. Lo confermano i dati dell’ONG ActionAid, secondo cui, dal 2000 ad oggi gli affamati del mondo sono aumentati del 10%.
La settimana scorsa invece la Fao ha dichiarato con soddisfazione che per la prima volta in quindici anni gli affamati sono scesi sotto il miliardo, raggiungendo il rassicurante numero di 925 milioni. Insomma in qualche modo bisognerà pure giustificare tanti miliardi di dollari investiti nella lotta comune alla fame nel mondo …
In alcuni paesi poi questi investimenti pare abbiano addirittura peggiorato la situazione: Burundi, Lesotho, Repubblica Democratica del Congo e Sierra Leone hanno registrato un aumento della povertà e maggiori difficoltà di accesso al cibo. Anche Nell’India del boom economico, i poveri sono cresciuti di 40 milioni dal 1990 al 2006.
Continuare ad investire sugli aiuti alimentari, non ha portato fino ad oggi nessun risultato positivo, ha invece aumentato la dipendenza di molti paesi poveri rispetto ai più sviluppati. Da anni gli esperti confermano che il mondo è già attualmente in grado di produrre cibo per tutti. In Italia, 6 milioni di tonnellate di cibo ancora commestibile vengono buttate nella spazzatura, quantità sufficiente per sfamare 3 milioni di persone. Che il problema della fame nel mondo non sia la mancanza di cibo appare scontato.
Dunque serve reale impegno nell’offrire ai paesi sottosviluppati reali soluzioni, lungimiranti e che si possano radicare portando ad una graduale indipendenza.
Investire nel modo giusto potrebbe essere un buon inizio. Come vengono spesi i fondi destinati a una delle più autorevoli organizzazioni mondiali per abbattere la fame e la povertà globale?
Solo qualche numero: ogni anno la Fao utilizza 433,8 milioni di dollari del proprio budget annuale per auto sostenersi (costi dei dipendenti, struttura amministrativa, etc …). Considerando che molte persone nel mondo vivono con meno di un dollaro al giorno, questa cifra spaventosa potrebbe far mangiare ogni anno 1.188.493 persone. La fame nel mondo è diventata un business?
22 settembre 2010
La Povertà nel mondo
Che cosa significa povertà?
La povertà è fame. La povertà è vivere senza un tetto. La povertà è essere ammalati e non riuscire a farsi visitare da un medico.
è bello vedere un bambino mangiare da per terra???NO!!! |
La povertà è non potere andare a scuola e non sapere leggere. La povertà è non avere un lavoro, è timore del futuro, è vivere giorno per giorno.
La povertà è perdere un figlio per una malattia causata dall'inquinamento dell'acqua.
La povertà è non avere potere e non essere rappresentati adeguatamente; la povertà è macanza di libertà.
La povertà assume volti diversi, volti che cambiano nei luoghi e nel tempo, ed è stata descritta in molti modi (vedi la Letteratura della povertà, in inglese).
La povertà è una situazione da cui la gente vuole evadere.
La povertà, quindi, richiede azioni sia da parte dei poveri che dei benestanti, e richiede di cambiare il mondo per fare sì che molte più persone possano avere un buon livello di nutrizione, un alloggio adeguato, accesso all'educazione e alla salute, protezione dalla violenza, e voce in ciò che succede nella loro comunità.
Per capire come si può ridurre la povertà, per capire ciò che contribuisce o meno ad alleviarla e per capire come cambia nel tempo, bisogna definire, misurare, studiare ed anche vivere la povertà.
Dato che la povertà ha tante dimensioni, deve essere osservata mediante una serie di indicatori; indicatori dei livelli di reddito e di consumo, indicatori sociali ed anche indicatori della vulnerabilità e del livello di accesso alla società e alla vita politica.
Fino ad ora la maggior parte degli studi è stata condotta utilizzando misure di povertà basate sui consumi o sui redditi. Ma alcuni studi sono stati condotti anche su altre dimensioni della povertà; esempi sono il Rapporto sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite (UNDP) e il Rapporto sullo sviluppo mondiale 2000/01 (WDR) sui temi di povertà e sviluppo della Banca Mondiale.
Ma cosa è la povertà?
Nel mondo, l'estrema povertà confina con l'abbondanza. Dei 6 miliardi di abitanti del pianeta, 2,8 miliardi hanno meno di 5.000 lire al giorno per sopravvivere, e 1,2 miliardi meno di 2.500 lire al giorno. Ma la povertà non è solo mancanza di soldi.
Povertà è l'umiliazione, la sensazione di essere dipendenti da altri, di essere obbligati ad accettare offese, disprezzo, e trovare indifferenza quando si cerca aiuto.
La povertà è un'inaccettabile privazione del benessere cui ha diritto un essere umano.
La povertà è un'inaccettabile privazione del benessere cui ha diritto un essere umano.
Ma cosa è privazione, e cosa è inaccettabile?
Gli uomini non hanno tutti la stessa visione del concetto di povertà, né valutano egualmente le sue cause.
Per noi, l'esperienza della povertà non comprende solamente basse retribuzioni e consumi ridotti al minimo, ma anche difficoltà d'accesso ad un adeguato livello di educazione, di risorse sanitarie e d'alimentazione.
Supera gli aspetti monetari per includere il pericolo e la vulnerabilità, l'impotenza rispetto all'incertezza quotidiana, l'incapacità a far udire la propria voce.
Supera gli aspetti monetari per includere il pericolo e la vulnerabilità, l'impotenza rispetto all'incertezza quotidiana, l'incapacità a far udire la propria voce.
L'esperienza della povertà non è solo mancanza di benessere materiale, ma anche negazione dell'opportunità di vivere una vita tollerabile.
La vita può essere accorciata. Può essere resa difficile, dolorosa, o casuale; privata di dignità, fiducia.
La vita può essere accorciata. Può essere resa difficile, dolorosa, o casuale; privata di dignità, fiducia.
La povertà limita la vita.
La visione del filosofo ed economista Amartya Sen sarebbe forse condivisa dai poveri stessi.
La visione del filosofo ed economista Amartya Sen sarebbe forse condivisa dai poveri stessi.
Sen considera l'esperienza della povertà nel suo contesto sociale, e vede la povertà in termini di impossibilità a svolgere alcune fondamentali attività dell'uomo (Sen 1984, 1993): "la povertà deve essere intesa come la privazione delle capabilities fondamentali dell'uomo" (Sen 1999).
L'idea di fondo del suo human poverty approach al concetto di povertà è che la povertà dovrebbe includere sia ciò che potremmo o non potremmo fare (capabilities), sia ciò che ci è effettivamente concesso di fare (functions).
Quest'idea ha svolto un ruolo fondamentale nell'allargamento della lotta alla povertà che, non più legata alla sola dimensione del reddito, viene ad includere il diritto ad una vita lunga, creativa, tutelata da malattie e violenze - e il diritto ad un buon tenore di vita, alla dignità, all'autostima e al rispetto altrui.
Se il benessere permette di contrastare un futuro di incertezza e di vulnerabilità, l'incapacità a decidere la propria vita diviene un aspetto del concetto di povertà.
È per questo che anche la vulnerabilità, l'incapacità a far udire la propria voce e l'impotenza politica sono dimensioni della povertà.
È per questo che anche la vulnerabilità, l'incapacità a far udire la propria voce e l'impotenza politica sono dimensioni della povertà.
Perciò anche l'arbitrio, la sottomissione e l'insicurezza sono divenute dimensioni della povertà, al pari di un reddito insufficiente.
È necessario un più ampio approccio al concetto di povertà, non più limitato alla constatazione di bassi redditi,
che è il criterio comune col quale si misurava la povertà.
I DATI SULLA FAME NEL MONDO
noi preghiamo a Dio che ci aiuti voi che avete un posto dove stare e dove mangiare perché non aiutate chi ha bisogno di aiuto? |
1. Circa 24.000 persone muoiono ogni giorno per fame o cause ad essa correlate. I dati sono migliorati rispetto alle 35.000 persone di dieci anni fa o le 41.000 di venti anni fa. Tre quarti dei decessi interessano bambini al di sotto dei cinque anni d'età.
2. Oggi, il 10% dei bambini che vivono in paesi in via di sviluppo muoiono prima di aver compiuto cinque anni. Anche in questo caso, il dato è migliorato rispetto al 28% di cinquanta anni fa.
3. Carestia e guerre causano solo il 10% dei decessi per fame, benchè queste siano le cause di cui si sente più spesso parlare. La maggior parte dei decessi per fame sono causati da malnutrizione cronica. I nuclei familiari semplicemente non riescono ad ottenere cibo sufficiente. Questo a sua volta è dovuto all'estrema povertà.
4. Oltre alla morte, la malnutrizione cronica causa indebolimento della vista, uno stato permanente di affaticamento che causa una bassa capacità di concentrarsi e lavorare, una crescita stentata ed un'estrema suscettibilità alle malattie. Le persone estremamente malnutrite non riescono a mantenere neanche le funzioni vitali basilari.
5. Si calcola che circa 800 milioni di persone nel mondo soffrano per fame e malnutrizione, circa 100 volte il numero di persone che effettivamente ne muoiono ogni anno.
6. Spesso, le popolazioni più povere necessitano di minime risorse per riuscire a coltivare sufficienti prodotti commestibili e diventare autosufficienti. Queste risorse possono essere: semi di buona qualità, attrezzi agricoli appropriati e l'accesso all'acqua. Minimi miglioramenti delle tecniche agricole e dei sistemi di conservazione dei cibi apportano ulteriore aiuto.
7. Numerosi esperti in questo campo, sono convinti che il modo migliore per alleviare la fame nel mondo sia l'istruzione. Le persone istruite riescono più facilmente ad uscire dal ciclo di povertà che causa la fame.
Fonti (divise in paragrafi):
1) Il Progetto contro la Fame nel Mondo, Nazioni Unite;
2) CARE;
3) Istituto per la promozione dello sviluppo e dell'alimentazione;
4) Programma mondiale per il cibo delle Nazioni Unite (WFP);
5) Organizzazione delle Nazione Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO);
6) Oxfam;
7) Fondo per l'infanzia delle Nazioni Unite (UNICEF)
Risoluzione del Parlamento europeo sulla giornata internazionale per l'eliminazione della povertà.
Adozione da parte del Parlamento europeo in data 23 ottobre. Il Parlamento si preoccupa della situazione di circa 52 milioni di cittadini europei che vivono al di sotto della soglia della povertà e sottolinea la necessità di adottare un programma di lotta contro la povertà che tenga conto dell'esperienza acquisita dall'Unione europea e di iscriverlo tra le sue priorità. Esso rileva che l'applicazione delle azioni prioritarie raccomandate dal Consiglio europeo di Essen in materia di occupazione offre una base che consente di sviluppare programmi nazionali che sono in grado di rispondere alle esigenze delle persone emarginate o escluse del mercato del lavoro. Esso invita gli Stati membri che hanno partecipato al vertice mondiale per lo sviluppo sociale, organizzato a Copenaghen nel marzo 1995, a rispettare gli impegni firmati in tale occasione. Esso è sconcertato dall'azione di taluni Stati membri, che ha comportato la sospensione del pagamento dei 12 milioni di ecu destinati alle persone socialmente escluse, agli anziani e ai poveri. Esso chiede inoltre all'Unione di adottare misure volte ad evitare l'aumento del numero delle donne che versano in condizioni di povertà.
Infine, esso approva la celebrazione del 17 ottobre come giornata mondiale per l'eliminazione della povertà e rende omaggio alle persone che si impegnano quotidianamente in questa lotta.
2. Oggi, il 10% dei bambini che vivono in paesi in via di sviluppo muoiono prima di aver compiuto cinque anni. Anche in questo caso, il dato è migliorato rispetto al 28% di cinquanta anni fa.
3. Carestia e guerre causano solo il 10% dei decessi per fame, benchè queste siano le cause di cui si sente più spesso parlare. La maggior parte dei decessi per fame sono causati da malnutrizione cronica. I nuclei familiari semplicemente non riescono ad ottenere cibo sufficiente. Questo a sua volta è dovuto all'estrema povertà.
4. Oltre alla morte, la malnutrizione cronica causa indebolimento della vista, uno stato permanente di affaticamento che causa una bassa capacità di concentrarsi e lavorare, una crescita stentata ed un'estrema suscettibilità alle malattie. Le persone estremamente malnutrite non riescono a mantenere neanche le funzioni vitali basilari.
5. Si calcola che circa 800 milioni di persone nel mondo soffrano per fame e malnutrizione, circa 100 volte il numero di persone che effettivamente ne muoiono ogni anno.
6. Spesso, le popolazioni più povere necessitano di minime risorse per riuscire a coltivare sufficienti prodotti commestibili e diventare autosufficienti. Queste risorse possono essere: semi di buona qualità, attrezzi agricoli appropriati e l'accesso all'acqua. Minimi miglioramenti delle tecniche agricole e dei sistemi di conservazione dei cibi apportano ulteriore aiuto.
7. Numerosi esperti in questo campo, sono convinti che il modo migliore per alleviare la fame nel mondo sia l'istruzione. Le persone istruite riescono più facilmente ad uscire dal ciclo di povertà che causa la fame.
Fonti (divise in paragrafi):
1) Il Progetto contro la Fame nel Mondo, Nazioni Unite;
2) CARE;
3) Istituto per la promozione dello sviluppo e dell'alimentazione;
4) Programma mondiale per il cibo delle Nazioni Unite (WFP);
5) Organizzazione delle Nazione Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO);
6) Oxfam;
7) Fondo per l'infanzia delle Nazioni Unite (UNICEF)
Risoluzione del Parlamento europeo sulla giornata internazionale per l'eliminazione della povertà.
Adozione da parte del Parlamento europeo in data 23 ottobre. Il Parlamento si preoccupa della situazione di circa 52 milioni di cittadini europei che vivono al di sotto della soglia della povertà e sottolinea la necessità di adottare un programma di lotta contro la povertà che tenga conto dell'esperienza acquisita dall'Unione europea e di iscriverlo tra le sue priorità. Esso rileva che l'applicazione delle azioni prioritarie raccomandate dal Consiglio europeo di Essen in materia di occupazione offre una base che consente di sviluppare programmi nazionali che sono in grado di rispondere alle esigenze delle persone emarginate o escluse del mercato del lavoro. Esso invita gli Stati membri che hanno partecipato al vertice mondiale per lo sviluppo sociale, organizzato a Copenaghen nel marzo 1995, a rispettare gli impegni firmati in tale occasione. Esso è sconcertato dall'azione di taluni Stati membri, che ha comportato la sospensione del pagamento dei 12 milioni di ecu destinati alle persone socialmente escluse, agli anziani e ai poveri. Esso chiede inoltre all'Unione di adottare misure volte ad evitare l'aumento del numero delle donne che versano in condizioni di povertà.
Infine, esso approva la celebrazione del 17 ottobre come giornata mondiale per l'eliminazione della povertà e rende omaggio alle persone che si impegnano quotidianamente in questa lotta.
La povertà in Italia
"Lo tsunami della crisi economica si sta abbattendo sui paesi che meno hanno contribuito a scatenarla. A questo ritmo, l'obiettivo di sradicare la fame e la povertà entro il 2015 rischia di rimanere un miraggio per la maggior parte dei paesi nel mondo". Lo denuncia la rete internazionale Social Watch nel rapporto “People First” (in inglese in.pdf) presentato ieri a Roma dalla Coalizione Italiana. A livello mondiale, emerge che nel 18% dei paesi è in atto una regressione in alcuni casi accelerata.
“Studiando l'impatto sociale della crisi a livello internazionale, emerge che a pagarne le conseguenze più dure sono i paesi impoveriti e le persone più vulnerabili, molte delle quali sono nuovi poveri” - afferma Jason Nardi, portavoce del Social Watch Italia. “Fra le prime vittime del crollo dei mercati finanziari vi sono i più poveri che, spendendo dal 50 all’80% del loro reddito in beni alimentari, risentono maggiormente dell'aumento del costo delle derrate agricole. Ma anche le donne, spesso impiegate in lavori precari o a cottimo, con minori salari e più bassi livelli di tutela sociale”."L'Italia si sta rapidamente impoverendo. La situazione del Paese è andata peggiorando sotto molti aspetti che riguardano i diritti fondamentali e quelli sociali economici e culturali, stando ai rilievi e alle analisi fatte dai principali centri di ricerca e statistica e dalle organizzazioni della società civile" - è scritto nel rapporto, che cita dati Istat secondo cui il 13,6% della popolazione italiana si trova in condizioni di "povertà relativa", e il tasso di disoccupazione è balzato al 7,4% nel secondo trimestre 2009. Nel solo 2008, poi, dice ancora lo studio, il valore complessivo della Borsa italiana è sceso del 49%.
Secondo il rapporto, la situazione non è solo il prodotto "della crisi finanziaria globale (i cui effetti reali si cominciano a registrare soltanto un anno dopo, mentre gran parte delle rilevazioni sono antecedenti), ma di politiche inadeguate, deboli e in molti casi discriminatorie" (pg. 106-7). Utilizzando dati Eurostat e del Fondo Monetario Internazionale, il rapporto indica che a fronte di un calo del Prodotto interno lordo del 6% tra il 2008 e il 2009, l'Italia ha impiegato solo lo 0,8% dello stesso Pil "per contrastare la crisi" a fronte del 3,7% della Germania (con un -5,9% del Pil) o dell'1,6% della Francia (-2,6%).
Per la prima volta aggiunge il rapporto Social Watch, "la questione dell'immigrazione si scontra con le difficoltà occupazionali. Molti sono infatti i lavoratori extracomunitari che stanno perdendo il lavoro a causa della crisi". Il rapporto cita a esempio il caso del Veneto, dove il 24% dei disoccupati a gennaio 2009 erano extracomunitari (dato dell'associazione artigianale Cgia). Quello del razzismo è uno dei "punti deboli" denunciati dal rapporto, che ricorda le raccomandazioni già espresse dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa all'Italia e critica i "pacchetti sicurezza" varati dal governo tra l'estate 2008 e 2009.
Tramite l’Indice delle Capacità di Base (BCI - in .pdf), il rapporto analizza quindi lo stato di salute e il livello dell’istruzione elementare di ciascun paese. I risultati sono preoccupanti: al 2009, quasi la metà dei paesi analizzati (42,1%) ha un valore dell'Indice BCI basso, molto basso o critico. La maggioranza della popolazione mondiale vive in paesi in cui i principali indicatori sociali sono immobili o progrediscono troppo lentamente per raggiungere un livello di vita accettabile nel prossimo decennio. “Le cifre rivelano una situazione di disuguaglianza drammatica in tutto il mondo, sebbene i dati elaborati si riferiscano a un periodo in cui la crisi economica doveva ancora produrre i suoi effetti più profondi” - precisa Jason Nardi. “La crisi finanziaria offre un'opportunità storica per ripensare i processi decisionali in politica economica attraverso un approccio basato sui diritti umani”.Il BCI (in .pdf) è un indice alternativo che definisce la povertà non in termini di reddito, ma in base alla possibilità di godere di alcuni diritti fondamentali. In particolare, l’indice è costruito attraverso l'analisi di alcuni fattori determinanti per lo sviluppo di un paese: la percentuale di bambini che arriva alla quinta elementare, la sopravvivenza fino ai cinque anni di età e la percentuale di nascite assistite da personale qualificato. A livello mondiale, emerge che nel 18% dei paesi è in atto una regressione in alcuni casi accelerata.
Lo scenario desta ancor più preoccupazione se si considera che solo Danimarca, Norvegia, Svezia, Olanda e Lussemburgo hanno rispettato gli obiettivi delle Nazioni Unite, destinando almeno lo 0,7% del Pil all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (Aps). Nonostante le ripetute promesse del nostro governo, si prevede che l'Aiuto Pubblico allo Sviluppo in Italia subirà un drammatico taglio, scendendo dallo 0,2% del PIL a meno dello 0,17%. Al pari della Grecia e di poco al di sopra della Repubblica Ceca, l'Italia si ritrova così agli ultimi posti tra i paesi industrializzati.
Le differenze tra uomo e donna non si riducono, mentre cresce la distanza tra i paesi più virtuosi e quelli in cui la discriminazione è maggiore. Lo rivela l'Indice di Parità di Genere (GEI - in pdf), sviluppato e calcolato per il 2009 dal Social Watch. Il GEI analizza la disparità tra i sessi, classificando 157 paesi in una scala in cui 100 indica la completa uguaglianza tra donne e uomini. I valori più alti nell'Indice di Parità di Genere sono attribuiti alla Svezia (88 punti). Seguono Finlandia e Rwanda - entrambi con 84 punti nonostante l'enorme differenza in termini di ricchezza tra i due paesi. Poco al di sotto si classificano Norvegia (83), Bahamas (79), Danimarca (79) e Germania (78). L’indice dimostra quindi che un alto livello di reddito non è sinonimo di maggiore uguaglianza e che anche i paesi poveri possono raggiungere livelli di parità molto elevati, sebbene uomini e donne vivano in condizioni non facili.
In questa speciale classifica, l’Italia scende rispetto al 2008 dal 70° al 72° posto, con un valore di 64 punti, collocandosi subito dopo paesi come Grecia, Slovenia, Cipro e Repubblica Dominicana (66). Confrontando il dato dell’Italia con la media europea emerge il ritardo del nostro paese nel raggiungere un’effettiva uguaglianza di genere. Nelle prime 50 posizioni dell’indice sono compresi i due terzi dei paesi dell’Unione Europea, ad esclusione di paesi come Irlanda, Slovacchia, Repubblica Ceca, Grecia e Italia.
“L’indice della parità di genere rivela se una società sta evolvendo verso una maggiore equità di genere o rimane ferma. La mancata riduzione del divario nei diritti tra uomo e donna conferma la miopia dei governi. La distinzione tra paesi del cosiddetto Sud del mondo e quelli del Nord sviluppato è sempre più sfumata” - afferma Nardi. “La promozione della parità tra i sessi è uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: i nostri dati dimostrano che quell’obiettivo invece di avvicinarsi si sta allontanando”.
“Studiando l'impatto sociale della crisi a livello internazionale, emerge che a pagarne le conseguenze più dure sono i paesi impoveriti e le persone più vulnerabili, molte delle quali sono nuovi poveri” - afferma Jason Nardi, portavoce del Social Watch Italia. “Fra le prime vittime del crollo dei mercati finanziari vi sono i più poveri che, spendendo dal 50 all’80% del loro reddito in beni alimentari, risentono maggiormente dell'aumento del costo delle derrate agricole. Ma anche le donne, spesso impiegate in lavori precari o a cottimo, con minori salari e più bassi livelli di tutela sociale”."L'Italia si sta rapidamente impoverendo. La situazione del Paese è andata peggiorando sotto molti aspetti che riguardano i diritti fondamentali e quelli sociali economici e culturali, stando ai rilievi e alle analisi fatte dai principali centri di ricerca e statistica e dalle organizzazioni della società civile" - è scritto nel rapporto, che cita dati Istat secondo cui il 13,6% della popolazione italiana si trova in condizioni di "povertà relativa", e il tasso di disoccupazione è balzato al 7,4% nel secondo trimestre 2009. Nel solo 2008, poi, dice ancora lo studio, il valore complessivo della Borsa italiana è sceso del 49%.
Secondo il rapporto, la situazione non è solo il prodotto "della crisi finanziaria globale (i cui effetti reali si cominciano a registrare soltanto un anno dopo, mentre gran parte delle rilevazioni sono antecedenti), ma di politiche inadeguate, deboli e in molti casi discriminatorie" (pg. 106-7). Utilizzando dati Eurostat e del Fondo Monetario Internazionale, il rapporto indica che a fronte di un calo del Prodotto interno lordo del 6% tra il 2008 e il 2009, l'Italia ha impiegato solo lo 0,8% dello stesso Pil "per contrastare la crisi" a fronte del 3,7% della Germania (con un -5,9% del Pil) o dell'1,6% della Francia (-2,6%).
Per la prima volta aggiunge il rapporto Social Watch, "la questione dell'immigrazione si scontra con le difficoltà occupazionali. Molti sono infatti i lavoratori extracomunitari che stanno perdendo il lavoro a causa della crisi". Il rapporto cita a esempio il caso del Veneto, dove il 24% dei disoccupati a gennaio 2009 erano extracomunitari (dato dell'associazione artigianale Cgia). Quello del razzismo è uno dei "punti deboli" denunciati dal rapporto, che ricorda le raccomandazioni già espresse dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa all'Italia e critica i "pacchetti sicurezza" varati dal governo tra l'estate 2008 e 2009.
Tramite l’Indice delle Capacità di Base (BCI - in .pdf), il rapporto analizza quindi lo stato di salute e il livello dell’istruzione elementare di ciascun paese. I risultati sono preoccupanti: al 2009, quasi la metà dei paesi analizzati (42,1%) ha un valore dell'Indice BCI basso, molto basso o critico. La maggioranza della popolazione mondiale vive in paesi in cui i principali indicatori sociali sono immobili o progrediscono troppo lentamente per raggiungere un livello di vita accettabile nel prossimo decennio. “Le cifre rivelano una situazione di disuguaglianza drammatica in tutto il mondo, sebbene i dati elaborati si riferiscano a un periodo in cui la crisi economica doveva ancora produrre i suoi effetti più profondi” - precisa Jason Nardi. “La crisi finanziaria offre un'opportunità storica per ripensare i processi decisionali in politica economica attraverso un approccio basato sui diritti umani”.Il BCI (in .pdf) è un indice alternativo che definisce la povertà non in termini di reddito, ma in base alla possibilità di godere di alcuni diritti fondamentali. In particolare, l’indice è costruito attraverso l'analisi di alcuni fattori determinanti per lo sviluppo di un paese: la percentuale di bambini che arriva alla quinta elementare, la sopravvivenza fino ai cinque anni di età e la percentuale di nascite assistite da personale qualificato. A livello mondiale, emerge che nel 18% dei paesi è in atto una regressione in alcuni casi accelerata.
Lo scenario desta ancor più preoccupazione se si considera che solo Danimarca, Norvegia, Svezia, Olanda e Lussemburgo hanno rispettato gli obiettivi delle Nazioni Unite, destinando almeno lo 0,7% del Pil all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (Aps). Nonostante le ripetute promesse del nostro governo, si prevede che l'Aiuto Pubblico allo Sviluppo in Italia subirà un drammatico taglio, scendendo dallo 0,2% del PIL a meno dello 0,17%. Al pari della Grecia e di poco al di sopra della Repubblica Ceca, l'Italia si ritrova così agli ultimi posti tra i paesi industrializzati.
Le differenze tra uomo e donna non si riducono, mentre cresce la distanza tra i paesi più virtuosi e quelli in cui la discriminazione è maggiore. Lo rivela l'Indice di Parità di Genere (GEI - in pdf), sviluppato e calcolato per il 2009 dal Social Watch. Il GEI analizza la disparità tra i sessi, classificando 157 paesi in una scala in cui 100 indica la completa uguaglianza tra donne e uomini. I valori più alti nell'Indice di Parità di Genere sono attribuiti alla Svezia (88 punti). Seguono Finlandia e Rwanda - entrambi con 84 punti nonostante l'enorme differenza in termini di ricchezza tra i due paesi. Poco al di sotto si classificano Norvegia (83), Bahamas (79), Danimarca (79) e Germania (78). L’indice dimostra quindi che un alto livello di reddito non è sinonimo di maggiore uguaglianza e che anche i paesi poveri possono raggiungere livelli di parità molto elevati, sebbene uomini e donne vivano in condizioni non facili.
In questa speciale classifica, l’Italia scende rispetto al 2008 dal 70° al 72° posto, con un valore di 64 punti, collocandosi subito dopo paesi come Grecia, Slovenia, Cipro e Repubblica Dominicana (66). Confrontando il dato dell’Italia con la media europea emerge il ritardo del nostro paese nel raggiungere un’effettiva uguaglianza di genere. Nelle prime 50 posizioni dell’indice sono compresi i due terzi dei paesi dell’Unione Europea, ad esclusione di paesi come Irlanda, Slovacchia, Repubblica Ceca, Grecia e Italia.
“L’indice della parità di genere rivela se una società sta evolvendo verso una maggiore equità di genere o rimane ferma. La mancata riduzione del divario nei diritti tra uomo e donna conferma la miopia dei governi. La distinzione tra paesi del cosiddetto Sud del mondo e quelli del Nord sviluppato è sempre più sfumata” - afferma Nardi. “La promozione della parità tra i sessi è uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: i nostri dati dimostrano che quell’obiettivo invece di avvicinarsi si sta allontanando”.
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